Sabato 13 aprile, fredda serata di primavera alle porte delle festività pasquali. Il gruppo si riunisce in un clima di attesa e curiosità per discutere del romanzo di Michela Murgia “Accabadora”.

Il dibattito segue il flusso dei sentimenti e delle emozioni espressi dai presenti che complessivamente, con poche eccezioni, si sono lasciati trascinare dall’abile penna della scrittrice sarda.

La narrazione è spiazzante e disorienta perché propone al lettore una riflessione sull’eutanasia e sul suicidio assistito attraverso il racconto delle gesta di una donna, l’Accabadora, che nella tradizione sarda, in presenza di alcune condizioni, aveva la facoltà di ‘finire’ esseri umani considerati inguaribili, in un clima sociale di accondiscendenza e corrività pressoché generale.

Il destino dell’Accabadora si intreccia con quello del giovane Nicola, stanco di vivere dopo l’amputazione di una gamba e con quello di sua nipote Maria, amatissima figlia dell’anima, che, in un finale tanto suggestivo quanto enigmatico, si dovrà interrogare se accettare o no un passaggio di consegne da parte della zia.

Il dibattito si incentra soprattutto sui rituali e prassi delle società tradizionali, inaccettabili per l’uomo moderno e di fede, ma tollerate e approvate fino a tempi anche non troppo lontani; qualcuno ricorda il lavoro delle levatrici, cui toccava il compito di decidere se le condizioni di un feto potessero essere compatibili con la vita: qualcun altro osserva che in India e in Cina ancora oggi si pratica l’aborto selettivo: qualcun altro ancora si chiede quando sia possibile considerare deceduta una persona ai fini dell’espianto degli organi: della sofferenza, della delusione, del senso di inutilità, conclude uno dei lettori, dovrebbe farsi carico la comunità intera fortificando e intensificando le relazioni tra esseri umani.

Sembra che nel misurarsi con i misteri della vita, della morte e della sofferenza l’umanità abbia creduto di poterli maneggiare liberamente come se fossero beni disponibili: salvo poi incorrere in gravissimi problemi di ordine morale.

Al termine della discussione è stato sorteggiato il nuovo libro: “E venne chiamata due cuori” di Marlo Morgan, che descrive l’avventura di una donna vissuta a contatto con una tribù di aborigeni australiani.